Il ragazzo dell’Est era arrivato in ritiro e si era fatto notare per una tecnica eccelsa. Avversari modesti d’accordo, ma andò subito in gol, stop e tiro in un amen. Poi, il campionato. La tecnica non comune, la capacità di avanzare accarezzando il pallone che non si stacca un attimo dai piedi. Esterno, interno, suola, tacco, il pallone è sempre suo. Spesso lo vedi superare l’uomo ma non hai capito come abbia fatto. Il gol a Verona e poi la perla contro il Monza alla prima uscita al Maradona in un caldo agosto. Curiosità crescente, interviste, filmati, esercizi ripetuti per imparare il nome difficile da pronunciare. Napoli non sa cosa sta per succedere ma già è Kvara mania. E’ bastato poco, davvero poco. C’è un momento, però, che cambia gli umori, le speranze, le idee da accarezzare. E’ l’8 settembre. Non di una vita fa. Sono trascorsi poco più di due anni. Il sorteggio non è stato benevolo e al Maradona arriva il Liverpool. La grande squadra di Klopp, con Salah, Allison, Firmino, Van Dijk. Stadio pieno e grande attesa. Fin qui, niente di straordinario. Fortunatamente abbiamo vissuto molte notti europee contro squadre europee molto titolate. Ma succede qualcosa di impensabile. Gli azzurri comandano un’intera gara. Fanno a pezzi il Liverpool ma soprattutto nel primo tempo si vede una sola squadra in campo. Kvara devasta gli avversari, se li porta dietro come bimbi in un parco. Sembra di vedere proprio un adulto che si diverte a nascondere il pallone a dei ragazzini. Ma sono i giocatori del Liverpool. Il primo tempo finisce 3 a 0 con un rigore sbagliato. Il Maradona è in estasi e il ragazzo dell’est è tutto: classe, velocità, senso della posizione, intuito ma anche prepotenza, la prepotenza con la quale serve a Simeone il pallone del 3 a 0 da spingere soltanto in rete mentre l’argentino incredulo per la potenza espressa si porta le mani nei capelli. Lì cambiò nelle nostre menti, il modo di vedere quel Napoli. Diventò un Napoli che poteva vincerle tutte e doveva vincerle tutte. Il ragazzo venuto dall’Est era ormai ovunque. Sulle bandiere, sui muri, nei diari a scuola, nei gadget e a San Gregorio. Spalletti lo seguiva con ammirazione e lo guidava con gran sapienza. Lui cresceva di gara in gara. Dribbling secco, sterzata, contro sterzata, botta forte e precisa. Kvaramaradona. Esagerati? Abbiamo vinto tre scudetti e i due calciatori più talentuosi in quelle stagioni sono stati Diego e Kvara. Questo li accomuna. E’ così. E’ una verità incontrovertibile. Una piazza che ha sempre amato il talento più del pallone spinto in fondo alla rete è rimasta folgorata da campioni come Sivori e Zola, ma resta legata nelle annate vincenti alla classe di Diego e di Kvara. Il tempo passava e si viveva una cavalcata trionfale, con addirittura la possibilità di andare, sulla carta, in finale di Champions League. Ah, quel rigore contro il Milan! Il gol al Sassuolo con una difesa tagliata centralmente e non lateralmente dove è meno difficile. Il gol all’Atalanta con l’ennesima sterzata e controsterzata ma con un tocco in più che è una poesia prima di sfondare la porta. Arrivava il tricolore. E il ragazzo dell’Est era felice. Felice di portarlo a braccia sulle rive di Partenope con tutti noi per ricoprire una città intera del colore del cielo e del mare. Adesso la forza con la quale ci aiutavi a stendere quel tricolore non c’è più. Finisce qui. Non saluti. Non puoi farlo. Noi sì. Buona fortuna e se, talvolta ti capita, ripensa a quella notte di Champions in cui ci apristi gli occhi. C’era lo stadio pieno, le luci dei telefonini, l’urlo prima della gara e le facce sbalordite di tutti, proprio tutti.