Juventus Napoli non è propriamente una partita di calcio. È un incrocio di stili, di culture, di approcci.
E’ qualcosa che da sempre trascende il gioco del calcio. È stato per anni semplicemente nord contro sud, mondo della Fiat contro il potere operaio. Tutti hanno in mente più di una sfida ai bianconeri.
Come non pensare a Pechino in quell’estate del 2012 quando Pandev veniva cacciato nel momento clou della partita. Come non pensare a Raspadori con Zielinsky che si stende sul prato mentre tutti corrono ad abbracciarlo. A Cavani che ne rifila tre con la mossa dello scorpione per chiudere in bellezza. Come non pensare a Diego che uccella Tacconi nella corsa al secondo tricolore o a Careca che li devasta quando vinciamo la Supercoppa per 5 a 1. Ma quanti incubi, quante partite perse, quanti anni di tabù fino a quando Eraldo Pecci in quella punizione a due in area non gliela sfiora per rivederla poi entrare milioni di volte a scuotere la rete bagnata di pioggia. Juventus Napoli non vale per il nostro campionato. Non è neanche un’occasione. Ormai i buoi sono scappati, non sono più nella stalla e il destino è segnato. È ancora un qualcosa a sé stante, di diverso, che nasce oggi e finisce oggi. Si guarda col pensiero a quelle mille battaglie, a quella prima volta che siamo andati allo stadio per sfidare i bianconeri, Agnelli, il potere dell’industria. Juventus Napoli è un attimo che dura novanta minuti. Novanta minuti in cui vuoi vincere perché il cuore, l’istinto, la volontà devono vincere sul denaro, sul calcolo, sul potere.