Lo scandalo
Sono giorni che si parla di calciatori che puntano somme da capogiro anche sulle partite che devono disputare. Di campioni della nazionale vinti dal vizio del gioco. Di partite falsate proprio quando migliaia di appassionati non aspettano altro che vedere il pallone finire in fondo al sacco.
È la punta di un iceberg.
La nostalgia
Un calcio che da tempo punta in modo esasperato al business, con calendari che prevedono partite ogni tre giorni. Sponsor, tv, abbonamenti, magliette da gioco con disegni a dir poco insulsi che mortificano il senso di identità con i propri colori. Squadre imbottite di calciatori stranieri che non valgono mezza sigaretta. Il calcio è stato altro. Molti giocatori, anche di serie A, erano gente comune, non star del cinema con tatuaggi da mostrare sui social. La domenica, le famiglie si riunivano intorno a una radiolina per ascoltare gli interventi dai campi di gioco, ma le voci che arrivavano erano di professionisti che non urlavano per farsi apprezzare. Si entrava allo stadio con l’ombrello che nessuno immaginava poter essere un oggetto pericoloso da sequestrare all’ingresso. Il ragazzino, che non superava in altezza il tornello, non pagava il biglietto. Si giocava solo la schedina che ogni settimana si compilava a penna su un foglietto di colore diverso. Gli stranieri erano tre per squadra ed erano i più forti del paese di provenienza. Non c’era internet e nemmeno Dazn. Novantesimo minuto e la Domenica sportiva erano dei riti collettivi che condizionavano l’organizzazione della giornata di festa. I ragazzi giocavano nei cortili per emulare i loro idoli e non trascorrevano ore in compagnia di un telefonino. Nei ricordi molte sfide e tanti fuoriclasse ma fino agli anni 80. In quei tempi la Roma appassionò tutti con una rimonta sulla Juventus che naufragò a fine campionato contro il Lecce ultimo in classifica. Quel Lecce aveva campioni come Barbas e Pasculli che oggi ritroveremmo in una squadra che tranquillamente raggiungerebbe la Conference League. La Conference League? Ma di cosa si tratta? Ma si può istituire una competizione europea con squadre dal nome impronunciabile che neanche sulla cartina troviamo? Non parliamo dei campioni di quei tempi, sarebbe superfluo. Erano campioni anche come sportività e non cadevano come pere mature appena sfiorate. Però erano più esili, con volti a fine gara molto spesso segnati dalla fatica. Perché è tutto peggiorato? Siamo gli stessi di allora ma il nostro pallone non è più lo stesso. Come si è potuto sporcare fino a tal punto? Quali fattori hanno giocato contro la bellezza del calcio e come mai? Era un altro calcio, anzi quello era il calcio che, possiamo dirlo, è finito. Sì, il calcio è finito nel 1990.